Altroregno

 

“Mio Signore, è ora di alzarsi!”

In tutta risposta, John Jameson si rigirò nel letto fino ad affondare la faccia nel cuscino. “No!”

La voce dalla stanza adiacente, mescolata al suono di una piccola cascata scrosciante, non aveva nulla di umano, ma riuscì a suonare ancora più eccitata, giocosa, mentre ripeteva, “E’ Giorno di Preghiera! Non avevi detto che ti piaceva mescolarti alla gente?”

L’uomo prese un altro cuscino e se lo infilò sulla testa. “Non così! Ieri abbiamo fatti tardissimo! Non sono un prete! E da ragazzino odiavo andare in chiesa! Voglio tornare a giocare a guardie e ladri nel tuo caveau! Sono il dio e decido io!”

“Nel Giorno della Preghiera decidono i fedeli. E poi abbiamo ancora qualche minuto da passare insieme…”

Quando il cuscino venne via, la figura che si mise seduta era quella più familiare dell’uomo-lupo, Stargod. “Adesso sì che ragionia—“

E lì cadde muto.

Perché quello che aveva di fronte, seduto sul letto, non poteva esistere. Non su Altroregno.

Un cane.

Un cane terrestre, senza se e senza ma. Un bastardino non dissimile da un bracco, dal pelo raso, di un bianco immacolato, che lo guardava con un sorrisone ansante dal letto su cui stava seduto come se fosse la cosa più normale del mondo.

Un cane terrestre con un collare giallo, una medaglietta a forma di pentagono con una ‘S’ rossa stilizzata incisa nell’oro. E una mantellina scarlatta con lo stesso simbolo della medaglietta.

“Max..?” chiese, voltando la testa giusto il tempo per rivolgersi all’occupante del bagno. Il quale doveva avere percepito l’allarme nella voce, perché   un attimo dopo spuntò la gigantesca testa di un   drago dalla porta.

“Mio Signore! Cosa succe-oh?”

“Già. Oh.” Stargod studiò la creatura ai raggi X. “Niente di alieno. Ossa, organi, sistema nervoso…o è un cane o è uno Skrull per quel che ne so.”

“Cos’è uno Skrull?” chiese Max, grattandosi la testa.

“Extraterrestri mutaforma. Ma la Godstone…” si toccò la gemma che brillava scarlatta alla sua gola “…avrebbe rilevato un’intrusione dall’esterno del Microverso-ehi! Buono, bello!” il cane aveva deciso che quel grosso lupo gli era simpatico. Pareva magrolino, ma era tutto muscoli, e li usò per spingere giù il lupo e addentargli un orecchio. A John sfuggì un guaito animalesco poco dignitoso.

Il gioco terminò quando due enormi zampe dalle scaglie azzurre afferrarono l’intruso per i fianchi. Il cane uggiolò pietosamente mentre le zampe si agitavano nel tentativo di liberarsi. “Vergogna, cane! Non si fanno queste cose con il dio! Solo io posso morderlo!”

Stargod ridacchiò, massaggiandosi l’orecchio. “Dai, mettilo giù. Zia Evelyn aveva un Malinois tutto pepe che non faceva che riempirmi di graffi quando giocavamo. E poi lo sai, guarisco subito.”

Max obbedì. “E’ la prima volta che mi parli di un tuo parente: escluso tuo padre, non so niente della tua nidiata.”

“Mamma è morta quando ero piccolo, e comunque non pensavo ti interessasse: infatti tu stesso mi hai detto che i draghi tagliano i legami con la nidiata dopo la loro prima caccia.” Stargod fece cenno al cane di avvicinarsi e gli esaminò la medaglietta. “Krypto, eh? Che nome strano.”

“Cos’ha di strano? E poi tu non sei un drago, sei il mio compagno di stormo e ho il diritto di sapere di più su di te.” Chinò il muso in avanti e gli diede un bacio sulla guancia.

Stargod gli accarezzò il muso. “Magari ti porterò con me sulla Terra quando restituiremo questo pericolosissimo nemico. Eh, Krypto?” strofinò le nocche sulla testa canina. “Che nome buffo. Il tuo papà è uno scienziato? Hm? Hai un fratellino che si chiama Argo?”

“Worf!”

“Mi—John, è ora di andare.”

Stargod sospirò. Un atto di volontà lieve come un batter di ciglia, e la familiare armatura verde e oro, corredata di tutte le sue armi, inclusa la faretra, apparve sul suo corpo. “Non dovremmo occuparci di—“ guardò Krypto

“No.”

“Ma dobbiamo sapere se—“

“Lo chiederai a Lambert mentre siamo in viaggio, amore mio. Niente scuse.”

Il lupo sbuffò. “Va bene, ma lui viene con noi.”

 

MARVELIT presenta

Episodio 32: Stai attento a quello per cui preghi…

 

1.

Il bancone di marmo correva da un lato all’altro della vasta stanza. La sua superficie era occupata da un profluvio di oggetti legati a quell’ambiguo mondo a metà tra la scienza e la magia che era l’alchimia –fornelli, alambicchi, provette, giare il cui contenuto era meglio non elencare, ciotole piene di polveri minerali ed organiche…sembrava impossibile trovarvi un qualsivoglia ordine.

A meno di essere un mago. E l’uomo in rosso dai capelli e baffi argentati ne aveva maturata, di esperienza, da potersi muovere con gesti sicuri e fluidi mentre lavorava ad una nuova preparazione quasi senza accorgersi del movimento delle mani…ed ecco, solo un altro goccio di infuso di Verdena per ottenere—

<Lambert!>

Non fu tanto la voce che irruppe nei suoi pensieri, quanto l’urgenza nel suo tono! Lambert rovesciò solo poche gocce del contenuto della fiala sulla mano, e il terribile distillato corrose tessuti, vene, arterie, ossa, fino a lasciare niente altro che un informe moncherino gocciolante. Il mago sospirò, scuotendo la testa.

<Ti chiedo scusa. Non intendevo…>

“Penso sempre che un dio non debba mai scusarsi, mio signore,” lo interruppe il mago, voltandosi per dirigersi verso un altro bancone non meno attrezzato. “E comunque, lo sai che mi sono abituato a perdere le mani. Almeno, stavolta, posso farmele ricrescere. Oggi è giorno di preghiera, cosa ti affligge?”

<Te lo mostro: ah, spero che tu non stia maneggiando qualcos’altro di pericoloso.>

E attraverso il collegamento telepatico, Lambert vide. “Un cane bianco con una mantellina. Perché lo trovi allarmante, mio—John?”

<E’ apparso nel mio letto. Dal nulla. E no, non ho sviluppato un’insana passione. Era lì. E basta. Un normalissimo cane fino all’ultimo ossicino.>

Lambert osservò ancora una volta la proiezione del cane seduto, mentre da un cassetto estraeva uno stampo della propria mano. “La Godstone ha percepito tale intrusione?”

<…>

“Te la stai toccando, vero?”

<No, il mio allarme antintruso non ha funzionato. Per questo sono preoccupato.>

Lambert appoggiò il polso allo stampo. Con la mano destra, da una caraffa versò nello stampo qualcosa che sembrava un lattice. “Potrebbe trattarsi di un fenomeno di sovrapposizione planare. Richiede un potere enorme quanto sottile. Scelta originale del soggetto, tuttavia. Il cane si è dimostrato ostile? Pericoloso?”

<…no, anzi. E’ un giocherellone, e in questo momento se ne sta bello accucciato in grembo nella sua mantellina. Non ha minimamente paura del volo e la mantellina è molto isolante. Ma-->

“Allora crucciarsi è inutile, John. Ci sono interi eserciti che pattugliano Altro Regno per tuo conto, armi e magie sempre pronte a fare la loro parte…” il ‘lattice’ si coagulò nella forma di una nuova mano, perfetta. Lambert la fletté un paio di volte, soddisfatto del risultato. “Dedicati ai tuoi fedeli, lascia a noi il compito di preoccuparci.”

---

<Ti ho mai detto che sei insopportabilmente zen?>

<La settimana scorsa, quando ti ho convinto ad accettare il Principe Ssylak nella tua squadra.>

L’uomo-lupo roteò gli occhi e interruppe il contatto. Gli piaceva anche solo scambiare quattro chiacchiere con Lambert, il vecchio mago era la cosa più vicina a una figura paterna che avesse mai avuto. Di J. Jonah Jameson, per quanto gli dispiacesse quando ci rifletteva, non aveva esattamente molti ricordi felici…

Un sobbalzo nella sua monta riportò la sua attenzione alla situazione corrente. Il suo drago stava spalancando le ali per l’atterraggio nella piazza del mercato, tra due ali di una folla di passanti e mercanti.

La gente non andò in visibilio, non ci furono salti di gioia e lordi o invocazioni, ma usando al minimo la sua telepatia, John poteva percepire la loro felicità, il loro orgoglio. Lui era lì per loro, e loro non volevano deluderlo comportandosi come questuanti privi di dignità.

Erano momenti come questo che ricordavano a John quanto fosse alieno questo posto. Non doveva mai abbassare la guardia e sovrapporvi i propri valori, e con qualcuno con il suo potere era come camminare ogni minuto su un terreno minato.

Il dio-lupo smontò dal drago con un balzo. Alla spicciolata, alcune persone vennero a porgergli i propri omaggi che lui accolse con cenni del capo o, come nel caso di alcuni bambini, con una carezza alla testa. Meno male che qui non c’è Internet. Non sopporterei di finire in un meme da santino! Ma se sulla Terra sarebbe apparso al limite del parodistico, qui era solo una piccola cosa che un dio faceva per la sua gente. Credo che Steve morirebbe di vergogna dopo cinque minuti!

Azoria era una delle grandi metropoli di Altroregno, nuclei sofisticati di una rete di macrofeudi. L’intero pianeta, con la sua inclinazione assiale erratica a causa delle sue tre lune, non solo aveva un giorno più corto, ma le maree erano una forza terrificante con cui confrontarsi, e l’inclinazione assiale subiva influenze non meno drastiche, portando il dominio ora del gelo, ora del deserto… Non era sorprendente che un dio vivente, presente, capace di aiutare la gente a sopportare la furia degli elementi, fosse adorato senza riserve.

Una responsabilità non meno terribile. John era grato a Peter per avergli mostrato col proprio esempio cosa significasse affrontare la vita per le corna.

Il cane cominciò ad aggirarsi dappertutto. Posto nuovo! Tantissimi odori nuovi! La gente non gli badava. Niente scoiattoli, niente gatti. Ohh, odore di cibo appena cotto, buonobuonobuono!

Stargod diede una pacca sul fianco del drago. <Max, per favore, assumi una forma più adatta e stagli addosso: se devo fare il mio dovere divino, non vuoi che passi la giornata a rincorrerlo, vero?>

Il gigante rettiliano sbuffò. <Va bene, ma poi mi devi un favore speciale: lo sai che odio separarmi da te.>

<A chi lo dici. Ora vai.>

Max si ridusse alla propria forma intermedia, antropomorfa, e fece quanto detto.

Stargod sospirò –sì, odiava essere separato dalla sua metà, ma era anche ora che cominciasse ad orientarsi da solo. Niente telepatia, però: doveva aspettare che fossero i suoi fedeli –ce la fai, coraggio, *sono* fedeli e tu non sei un mostro assetato di potere! si avvicinassero.

Rimase però sorpreso alla vista di…un ragazzino. Non avrà avuto più di 15 anni, ma già parlava come una persona più matura. A mani giunte, disse, “Mio Signore, chiedo che tu protegga mio padre. Ha scelto di muovere la sua carovana fuori stagione lungo il deserto di Kress, e le tempeste di sabbia possono toglierti la carne dalle ossa, lo sai. Sta correndo un rischio terribile, lo sa, e anche se nel suo ultimo messaggio…” Turbato dall’angoscia del ragazzo, Stargod aveva toccato la sua mente quel tanto che bastava per vedere –vedere, come in una serie di fotografie, l’accesa discussione con la moglie mentre pensavano che i figli dormissero, l’uomo che cercava di rincuorare il figlio, ma che aveva parlato di non potere pagare altri interessi a chi gli aveva prestato i soldi per la carovana se l’avesse tenuta ferma, il messaggio giunto con un uccello… “Lui mi ha detto che non dovevamo correre da te, che doveva affrontare le sue scelte, ma se muore…”

Un ragazzino che parlava di interessi e di contratti…ma, di nuovo, era difficile che in casa si parlasse di sport, fumetti e videogiochi. Si faceva scuola, a casa.

Ma cosa posso fare, io? Non sono onnisciente. So dov’è il deserto di Kress, ho studiato notte e giorno ogni mappa, ma non posso agire a simili distan-!?

Ma a quel punto, Stargod non era più nella piazza del mercato.

Dove diavolo..?

Era in una foresta. In una lussureggiante foresta, circondato di alberi massicci, maestosi, così vicini tra loro e dalle fronde così intrecciate che la luce passava come oblique sciabole abbaglianti. La temperatura era fresca, la corrente faceva stormire pigramente le fronde. Ovunque c’era odore di terra, di umidità, di legno e clorofilla che il naso lupino di John percepiva in ogni sfumatura. Era…meraviglioso. L’iniziale momento di perplessità scemò, sostituito da un inedito senso di familiarità.

Casa.

“Benvenuto, John Jameson,” disse una voce profonda, quasi gutturale, simile alla sua.

Stargod si voltò di scatto. E si trovò a contemplare un altro uomo-lupo, seduto su uno dei rami. Gli assomigliava talmente che avrebbe potuto essere suo fratello…solo che era nudo.

“Ah…” le orecchie di John si agitarono di riflesso, indeciso sul cosa dire.

“Benvenuto, John Jameson.” Dietro di lui! E stavolta era una femmina, bianca anche lei, nuda anche lei. E poi ancora un altro, e altre due, e…

Con un poderoso frusciare e uno scricchiolio di cento rami, dalle ombre emerse una visione inaspettata. “Sei un drago!”

La creatura era abbastanza ‘piccola’ da muoversi senza distruggere alcunché. Le sue scaglie erano scarlatte come rubini. E c’era qualcosa di più…delicato in quella creatura rispetto a-

“Shyron,” l’interruppe il drago. “E’ il suo nome segreto, hai diritto ad usarlo. Io sono Toryja. Benvenuto, John Jameson.”

Il licantropo in armatura annuì. “Me lo state dicendo in tanti, ma benvenuto ‘dove’?”

“Noi la chiamiamo la Dimora,” disse il lupo seduto in groppa al drago. “Quando la nostra vita giunge a termine, è qui che veniamo. Tu e Shyron potete considerarlo per ora il vostro tempio, quando volete parlare con qualcuno che vi capisca.”

“La Dimora è dentro la Godstone? Perché non vi ho…mai visti, prima d’ora?” Se stava avendo un’altra allucinazione psicoanalitica…

“No, è un altro piano di esistenza. E non ci hai incontrati fino ad oggi perché temevi il tuo ruolo, temevi te stesso, il tuo potere –e quando, portato sottilmente alla follia dalle pozioni dell’alchimista, uccidesti un uomo, ti chiudesti del tutto a noi.”

John lo ricordava, non lo aveva mai dimenticato. Era stato manipolato come un dilettante da un noto criminale, fin dall’inizio. Diablo voleva la Godstone, e per poco lui non l’aveva mollata di sua volontà.

Diablo aveva commesso un grave errore, però: aveva dimenticato che Stargod era un telepate. Messo sull’attenti dall’Empatoide, prima di precipitare in un delirio psicoanalitico imbastito dall’alchimista, aveva intrappolato lo stesso in una finzione –e la ‘vittoria’ di Diablo si era rivelata vacua quanto le colpe che il dio si era autoinflitto…

“Lambert ti ha aiutato a guarire,” disse una delle femmine, toccandogli la spalla. “Hai accettato il tuo ruolo, sei a casa. E noi siamo pronti ad aiutarti.”

Stargod si sentì come attraversato da una scossa elettrica. “La carovana! Devo trovare il modo di salvarla! Non posso deludere quella famiglia!”

Decine di teste annuirono come una. “Siamo qui per questo,” disse Toryja. “Seguimi. Non è troppo tardi: qui il tempo scorre diversamente; tu sei ancora sulla piazza, e non è passato neanche un microsecondo. Vieni.”

John la seguì. Il corpo di lei disegnava il sentiero. Le foglie scricchiolavano sotto i suoi stivali, l’erba solleticava le dita scoperte…

“Sei una femmina?” chiese Stargod

“Sì,” rispose il lupo seduto su di lei. “Come tu e Shyron, abbiamo sperimentato la fusione di corpo, mente ed anima. Siamo stati i primi a saldare il legame tra i draghi e i lupi nella prima alleanza. Erano tempi più…movimentati.”

“Non stento a crederlo.” C’era altro che avrebbe voluto chiedere, ma per ora era solo felice di scoprire di non essere l’unico ad essersi innamorato di un drago. E Shyron era un bel nome. “Perché il nome segreto è così breve? Insomma, mi si accartoccia la testa solo a pronunciare quello vero.”

Toryja ridacchiò, un verso rombante e scoppiettante come il fuoco di un camino. “I nostri nomi mondani parlano della nostra nascita, del nostro clan e del nostro elemento. E ad essi si aggiunge il nome guadagnato nella prima caccia o battaglia. Nel nostro nome c’è la nostra vita. Il nome segreto è quello del nostro spirito, ed è potente, e neppure chi lo porta lo divulga. Nella mente sbagliata, può essere uno strumento di costrizione. E’ un segreto dei draghi, e altrimenti solo un residente della Dimora può rivelarlo, e per entrare nella Dimora bisogna essere, be’…degni.”

Toccò al lupo di ridacchiare. “’Degno’. Eh, è una parola che troppo spesso non ho associato a me.”

“L’umiltà fa onore a un dio,” disse il lupo seduto sul drago. “Ma ora basta lasciare che essa ti schiacci. Sei degno, siine fiero. Osserva.”

Un attimo prima di quella parola, Stargod percepì sotto i piedi il calore e la consistenza della sabbia.

Al termine del bosco ora c’era il terribile deserto di Kress, una distesa di sabbia e ossidiana levigata da millenni di erosione. Sabbia come quella marziana, frastagliata e tagliente, e lame che dal terreno si protendevano pronte a reclamare la vita degli incauti nelle tempeste che accecavano lo sguardo. Muoversi ‘fuori stagione’ era quasi sempre una condanna a morte; quanto doveva essere disperato, quell’uomo, per correre un simile rischio?

Stargod voltò lo sguardo verso il rombo del vento. La tempesta era vicina, e la carovana si muoveva quanto più velocemente possibile, ma le bestie da traino erano massicce, lente. I carri erano pesanti, rigonfi di merce. Uomini e donne erano stanchi per la marcia forzata. Non sarebbero sopravvissuti.

In tanti stavano pregando, li sentiva. Non lo vedevano mentre gli passavano accanto, i volti coperti dai lunghi abiti e dalle sciarpe, ma pregavano intensamente. Solo un miracolo, uno solo, per arrivare alle grotte che li avrebbero protetti fino alla fine della tempesta. Mancava così poco, solo un aiuto, solo un altro passo, Mio Signore…

John fece fatica a separare la propria mente da quella dei carovanieri. Fu in quel momento che capì davvero cosa significasse essere un dio –non era solo dei poteri e un titolo.

“La prima volta è sempre così,” disse Toryja. “Ti ci abituerai. Ma ora sai cosa devi fare.”

 

Nella piazza, tutti videro il dio scoprire i denti in una smorfia feroce, e spalancare gli occhi, che brillarono di un’intensa, familiare luce cremisi!

 

Nel deserto, il vento assassino turbinò intorno alla carovana come se si fosse aperto un corridoio! La gioia degli uomini e delle donne investì John come un balsamo, mentre moltiplicavano i loro sforzi per arrivare alle caverne che li avrebbero protetti –e a quel punto, che il vento soffiasse più forte che mai.

John percepì la cacofonia di pensieri, di ringraziamenti, di giuramenti di non sprecare questo dono, e avrebbe voluto rispondere a tutti, uno per uno, ma si limitò a guardarli passare.

“Ingegnoso,” disse il cavalcadrago. “Io estinsi il vento, in un’occasione simile, ma il tempo su mezzo mondo impazzì completamente.”

John gli rivolse un sorriso. “Astronauta. Lo studio della meteorologia è fondamentale nel nostro mestiere.” Sospirò. “Grazie, grazie davvero.”

“Non c’è di che,” disse Toryja. “Un giorno toccherà a te aiutare il tuo successore. E torna quando vuoi, so che hai ancora tante domande da fare, e noi siamo qui per rispondere.”

E prima che John potesse aggiungere altro, scoprì di essere tornato sulla piazza del mercato. Dov’era però sempre stato…stupidi paradossi mistici!

“Mio Signore..?” chiese il ragazzino, esitante.

Stargod gli accarezzò la testa. “Sono al sicuro. Domani usciranno dal deserto e presto saranno a casa. Di’ a tuo padre che è fortunato ad avere un figlio disobbediente.”

Quello annuì, e strinse il lupo in un abbraccio forte. “Grazie!” E poi corse via, ridendo.

<Sento il tuo cruccio, mio amato,> disse il drago. <Eppure ho visto attraverso il nostro legame che hai fatto una cosa buona.>

<E’ solo che è stato così…facile, Shyron,> rispose a mente. <Da quando mi sono sbloccato, plasmare il mio potere è quasi diventato una seconda natura.>

<Devo ricordarti che una volta hai letteralmente impedito al nostro universo di collassare? Queste dovrebbero essere sciocchezze.>

<Hai ragione. Intendevo dire che temo solo di lasciarmi prendere la mano… Bene, vediamo chi altri…Shyron? Er…tutto bene?>

Era un po’ inquietante vedere un drago adulto di diverse tonnellate con gli occhioni da Bambi e i pugni stretti l’uno contro l’altro, il muso contorto in un’espressione di gioia prossima al fanboying puro. “Mi…mi hai chiamato per nome…il mio nome segreto…”

Stargod annuì, ancora perplesso: “Uhh…sì? Ah, già è che è successa questa strana cosa—ERK!” Un attimo dopo si trovò sollevato e stritolato in un abbraccio spezzametalli!

“Non m’importa! Mi chiami per nome! E un giorno imparerai a pronunciare il mio nome di vita e lo canteremo in una bellissima tempesta!”

...costole…

“Oh! Scusami!” lo lasciò andare di colpo. Un istante dopo si sentì come un tonfo metallico, seguito da un uggiolio. “…sedere…Ow…

Shyron giocherellò imbarazzato con le dita. “Ah…scusami di nuovo?”

Stargod si mise in piedi, desiderando di togliersi l’armatura per massaggiare la parte offesa. “Niente che una settimana di chiropratica non possa sistemare…Ma dove hai messo il cane?>

In tutta risposta, quello spuntò dalle scapole del drago, abbaiando. Questa grossa lucertola è molto meglio di un cavallo! Voliamovoliamovoliamo! E si mise ad uggiolare, guardando in cielo, quasi ballando sulle zampe.

Shyron sospirò. <Ho visto abbastanza pulcini fare così per non sapere cosa vuole. Ce la fai a non commettere errori?>

Stargod fece un cenno di saluto. <Sto prendendoci la mano. Ora andate.>

Due battiti delle potenti ali, tra banchi e chioschi arruffati pericolosamente, e il drago si levò in cielo…

…in tempo perché le orecchie lupine cogliessero un verso di dolore! La preghiera di aiuto giunse un momento dopo: veniva dall’officina in angolo, all’inizio di una delle quattro arterie che si collegavano alla piazza. Preghiera o no, non l’avrebbe ignorato. Povero Peter, come dev’essere stare coi sensi attenti ad ogni minimo problema, sapendo per giunta di dovere fare delle scelte in una città che sminuisce questa?

Stargod giunse all’officina. Due ragazzi stavano assistendo un uomo seduto su una panca. Era talmente robusto che avrebbe potuto fare a braccio di ferro con Ssylak. Indossava un grembiule di cuoio. Neanche un capello in testa. Si reggeva l’avambraccio gonfio e violaceo senza emettere un lamento, e trovò anche la forza di sorridere alla vista del lupo. “Mio Signore. Non dia retta ai miei figli, è stato un incidente, purtroppo succede col nostro lavoro. Un po’ di veleni del nostro medico e starò benissimo, davvero.”

Stargod osservò il corpo dell’uomo attraverso i raggi X, e vide quanta triste verità c’era in quelle parole. C’erano diverse fratture, rinsaldatesi naturalmente, che suggerivano la giovane età in cui se l’era procurate. “Ti credo. Ma non sto esaudendo una tua preghiera…” si voltò a guardare i ragazzi che dalla soglia dell’officina fissavano la scena con tanto d’occhi, senza profferire parola. “Posso chiedervi di procurarmi un pezzo di ferro? Ve ne sarei grato.” E nel frattempo, preso delicatamente l’avambraccio dell’uomo tra le mani, disse, “Ora te la riduco. Farà male solo un attimo.”

Dall’officina si udì un vibrante suono di ferraglia. Tornarono poco dopo con quanto richiesto.

Stargod esaminò il pezzo –perfetto! “Mai fatto un gesso?”

“Ah…cos’è un ‘gesso’?”

“Oh, è un sistema per tenere fermo il braccio mentre l’osso si salda naturalmente. Un paio di – no, niente settimane nei calendari di Altroregno! “Dicevo, una ventina di giorni e tornerà come nuovo, e…cosa succede?” chiese, allarmato dal pallore del pover’uomo.

“Mio Signore, ti ho fatto qualcosa di male? Perché mi puniresti così?”

Stargod sbatté le palpebre. “…punirti?”

“Non posso stare fermo tutto quel tempo. I miei figli sono troppo giovani per prendere il mio lavoro. Perderò i miei clienti se non rispetto le consegne!”

“Oh!” John si concentrò un momento. Un attimo dopo un tintinnante sacchetto di cuoio gli apparve nel palmo. Lo porse all’uomo. “Ecco. Sc-nonscusartinonscusartiildiononsiscusa. Con queste potrai pagare qualcuno che lavori al tuo posto, sotto la tua guida, fino alla guarigione.”

Il fabbro parve ancora più sconsolato. “Ma così quella persona carpirà i miei segreti! Mi ruberà i miei clienti appena avrà lasciato l’officina se non lo uccido prima!”

Al lupo venne voglia di strapparsi la faccia. Ma perché certa gente vuole conquistare il mondo?!?

<Problemi, mio amato?> chiese la voce di Shyron. Una voce mentale, ma indubbiamente divertita.

Lui quasi si mise a ringhiare. <Non osare suggerire! Ce la posso fare senza scatenare una guerra santa sui diritti dei lavoratori!>

<Allora pensa in fretta prima che giungano alle conclusioni sbagliate.>

Pensare in fretta. Ah, sì! Potrei provare a sistemare la frattura con la—

<Neanche quello, soprattutto quello!> Qui la voce del drago aveva assunto un tono severo che lo colse di sorpresa. <Prima lezione: i possessori della Godstone possono compiere miracoli, ma non violare le leggi di natura.

Lui aggrottò la fronte. <E…un miracolo non è di per sé una violazione delle leggi di natura?>

<Un miracolo è frutto della necessità, la guarigione un frutto della vita. Perché credi che gli Stargod prima di te siano morti di vecchiaia? Anzi, che siano morti?>

John si morse il labbro inferiore, realizzando una verità che aveva sempre avuto letteralmente sotto gli occhi. <Tutto questo potere…di cui siamo custodi, non padroni.>

<Esatto. Anche per questo un dio non è padrone della sua gente. Per questo Arisen Tyrk e i suoi accoliti sono rinnegati: con le loro tecnologie avevano violato quei limiti. I Cavalieri di Stargod sono sempre esistiti per ricordargli che Egli non è solo nella difesa del regno.>

Considerazioni che chiamavano altre considerazioni…troppo a cui pensare, adesso. Poteva solo sperare che i ‘veleni’ di cui parlava il fabbro fossero metaforici, e che la scienza erboristica fosse molto più raffinata che sulla Terra.

Il dio-lupo tornò a rivolgersi al fabbro. “Sono un dio rinato in un altro mondo, e sto imparando molto, amico mio. Lascerò che sia il medico a curarsi di te…” vide l’uomo quasi accasciarsi per il sollievo. “Ma mi permetti di esaudire una piccola preghiera della tua prole?”

L’uomo annuì con convinzione. “Ne sarò onorato, mio Signore.”

“Ottimo. Scusami, ci vorrà un attimo…” mentalmente, estrasse dalla mente del fabbro i progetti dei lavori che lo aspettavano di lì a un mese, quelli che in queste condizioni non avrebbe potuto svolgere –almeno per quel che ne sapeva.

Si voltò verso l’officina, e fissò i pezzi di metallo che attendevano il fuoco e il martello. Si concentrò.

Sotto gli occhi sgranati dei ragazzi e dell’uomo e dei passanti, il metallo si levò in aria e cantò una canzone di fuoco e contorcimenti e impatti. Era come osservare la formazione di un sistema solare in miniatura –solo che qui si formavano attrezzi, armi, pezzi di armatura senza alcuna contaminazione che non fosse l’aggiunta del carbonio, un pezzo dopo l’altro, fino ad ottenere trenta giorni di lavoro ben disposti sulle rastrelliere, pezzi di una luccicante qualità che neanche un impianto industriale sarebbe riuscito a sfornare!

E che diamine, se uno non usa i superpoteri per fare anche queste cose..! “Ecco, mio buon fabbro: venderai i pezzi forgiati da un dio, e se i tuoi clienti saranno onesti ti daranno qualcosa in più. Posso solo consigliarti di sforzare quel braccio il meno possibile fino ad allora, questo almeno per me lo farai?”

In risposta, l’uomo si alzò in piedi. “Un giorno saprò compensarti adeguatamente. Concedimi almeno questo.”

Stargod stava per rispondere, quando qualcosa oscurò il sole! Il vento che solo il batter d’ali di un drago poteva generare agitò la via, e come tutti gli altri Stargod sollevò la testa, non percependo la presenza di Shyron.

Questo drago era non meno grande, una bestia nera come la notte e dalle scaglie ventrali di un blu scurissimo, gli occhi rossi come il fuoco che ardeva nelle sue fauci.

Ma era il suo cavaliere che riscosse l’attenzione del lupo: una donna, una donna vestita da una corazza argentea che pareva dipinta sulla sua figura. La sola parte scoperta visibile da terra era la testa, nerissima e lucida, completamente calva, l’occhio destro coperto dal nero tatuaggio di un lupo ringhiante. “STARGOD!” disse con una voce roboante come il tuono. “STARGOD, IO SONO ADYANA DI AL-MOURNHELM! E SONO GIUNTA A TE CON UNA PREGHIERA NEL CUORE! PRENDIMI IN SPOSA!”

Ed ora qualcosa di completamente diverso!

 

2.

Al-Mournhelm

 

Mournhelm è conosciuta come la fucina dei guerrieri. E’ qui, in questa regione aspra tra le giungle ed il mare, che nascono e si addestrano i difensori del regno che combatteranno al fianco di Stargod. Il loro principe, Garth, è la guida di tali genti, campione tra i campioni, come ci si deve aspettare da un Cavaliere di Stargod.

Mournhelm è una terra bellissima a vedersi, letale da vivere per chiunque non ci sia nato. E’ già un’impresa arrivare all’età adulta.

Al-Mourhelm è…peggio, a seconda dei punti di vista.

Al-Mournhelm è la Montagna Implacabile, la cui cima non è a caso il tetto del mondo: i draghi narrano con timore che quando Antesys il Progenitore forgiò Altroregno, creò Al-Mournhelm dal più terribile mare di fuoco perché solo i cuori più coraggiosi potessero raggiungerne la cima.

Più prosaicamente, l’immenso dente di roccia è il risultato della seconda, cataclismatica collisione che diede vita a due delle tre lune che oggi orbitano Altroregno. Come Mimas, la luna di Saturno, Altroregno ancora presenta i resti di quell’impatto, anche se solo un drago può volare abbastanza alto per apprezzare la vista. Perché è qui che i draghi nidificano, questa è la loro prima patria.

Al-Mournhelm: altezza 12.342 metri. Non importa quale sia la posizione assiale di Altroregno, il suo confine superiore, ai limiti della troposfera, è battuto da venti gelidi a -45°, secchi e implacabili. L’umidità è pressoché assente, la sola acqua si trova nelle regioni inferiori della montagna, nei suoi ghiacciai eterni.

La cima di questo colosso della natura è l’ultimo posto al mondo dove si potrebbe pensare di trovare la vita oltre la scala microbica.

La vista di un intero castello incassato nella roccia, scavato pietra dopo pietra come fosse una protuberanza organica della montagna stessa, fa capire che vivere quassù è un privilegio pagato a carissimo prezzo.

E’ qui che nasce la più antica élite guerriera, qui nascono e si temprano le amazzoni che guidano i Cavalieri di Stargod, le Spose di Stargod.

 

“Gran Visir, cosa significa che non sono adatta?!

La donna in piedi davanti ai merli, come ogni altro abitante del maniero sul tetto del mondo, era alta, slanciata, la pelle nera e lucida dei cristalli dermici che assorbivano la preziosa luce solare che dava loro nutrimento. L’unica cosa che portava indosso era un elaborato, armonico gioco di rune che brillavano di luce propria. Sul petto brillava un tatuaggio bianco a forma di testa di lupo ringhiante, la bocca aperta all’altezza del cuore.

“Significa,” rispose lei, calma, senza voltare lo sguardo dall’orizzonte lontano dove i draghi volavano liberi, “che puoi essere Suo Cavaliere, ma non Sposa, Adyana. Il dio ha legato con un drago, non ha più posto per qualcun altro. Questa generazione non vedrà la nascita di un nuovo candidato alla Godstone.”

“Ma come posso essere suo Cavaliere?! Lui ha già la sua compagnia, composta da quegli alieni—“

“Non più.”

L’ira della donna si dissipò così rapidamente da sembrare comico. “Come..?”

“Due di loro sono tornati sul proprio mondo: il Seminatore di Morte[1] e Iron Monger, ed è passato abbastanza tempo per desumere che non torneranno. Come vedi, almeno un posto è libero. Dimostratene degna.”

“E in cosa mancherei, ancora? Il mio percorso è completo, lo sai!”

Lei si voltò a guardarla, con un movimento appena accennato del capo, ma come quando era solo una bambina, Adyana si sentì trafiggere. “Temperanza. Il tuo cuore è dalla parte giusta, ma la tua mente guarda nella direzione sbagliata. Se sei leale al dio, non lasciare che la tua ambizione ti consumi.”

Adyana abbassò la testa, serrando i denti. “Così sarà, Gran Visir. Partirò quanto prima.” Non avendo altro da aggiungere, si voltò e si allontanò rapidamente.

 

Quando era così agitata, una buona lettura era la sola cosa che riuscisse a distrarla. Se avesse cominciato a meditare, sarebbe impazzita definitivamente!

Almeno, la scelta non mancava: nel corso dei secoli, la montagna era stata scavata anche per ricavarne una biblioteca che non aveva mai smesso di crescere, raccogliendo il sé il sapere e la storia di ogni popolo e dei suoi maghi. Si poteva dire che Al-Mournhelm fosse l’equivalente di una Biblioteca Globale.

Terminata la lunga scala a chiocciola, Adyana accedé al primo dei cinquanta livelli. Fu accolta subito dal familiare e rilassante odore dei tomi conservati dal gelo e dal buio. Il sapere racchiuso là dentro era come una forza avvolgente; quante volte Adyana, come tante Spose prima di lei, aveva percorso queste stanze, ci aveva dormito, entrando bambina ed uscendo ragazza…

Ma basta con i ricordi, ora voglio solo leggere qualche avventura, ed uscire solo quando avrò fini--

<Perché perdere tempo?>

Adyana sobbalzò, guardandosi intorno. Voce mentale! Chi..?

<Sono qui.>

Poi, come attratti da un magnete, gli occhi andarono verso…il libro. Un volume dalla costina in pelle di drago, donata dal suo proprietario come per ogni altro volume. Alla luce degli organismi fotofori, esso era visibile come un qualcosa di più nitido in mezzo alla nebbia. Adyana si scoprì come irresistibilmente attratta da quel volume.

<Molto percettiva, mia cara. Dunque non mi sbagliavo, sei una maga.>

Lei si avvicinò al volume. Lo estrasse. Era antico, indubbiamente. Non recava alcuna incisione, alcun segno che tradisse il suo autore…o il suo contenuto. Due bande metalliche lo tenevano saldamente chiuso. “Sono una Sposa di Stargod, sono maga e guerriera. In me scorre la magia del sole e la forza della montagna. Tu chi sei?”

La voce mentale aveva un che di suadente, a suo modo. <Per scoprirlo, devi aprire il libro. Le bande non possono essere aperte con la forza bruta: decifra le rune, e saprai.>

Adyana non riusciva a capire: che ci faceva lì un libro posseduto? Non era questo il suo posto, simili oggetti dovevano trovarsi in un’area sicura, sotto la custodia dei templari di livello più elevato, non—

<Comprendo i tuoi timori, sposa di Stargod, chiunque questo Stargod sia, ma-->

A quel punto lei sgranò gli occhi in genuina sorpresa. “Non lo sai?! Da dove mai vieni per non sapere ciò che sanno tutti del Salvatore?”

<O forse la domanda è da quando vengo, mia giovane creatura. Perché non usi la tua magia per osservarmi meglio? In fondo, non c’è niente come l’ignoto per ispirare diffidenza.>

E Adyana si scoprì ad annuire. Del resto, fin quando quel libro fosse rimasto ben chiuso, era chiaro che qualunque spirito lo possedesse, non avrebbe potuto commettere alcuna astuzia…

Chiuse un momento gli occhi. Quando li riaprì…c’era una seconda fila di occhi sopra la prima. E al posto delle pupille, rune fiammeggianti.

Lo Sguardo Indagatore, l’occhio della mente e dell’anima per trovare le menzogne nel cuore dei viventi e le trappole degli incantesimi. La dote che più accomunava una Sposa al suo dio.

E vide.

Era solo un’ombra, ma riempiva la caverna con la propria immensità oscura, la suprema presenza di un drago nero dagli occhi fiammeggianti. Una razza che non aveva solcato i cieli di Altroregno da tempo immemorabile.

Dapprima di Stargod!

Sulla Terra, ciò che avrebbe generato terrore in Adyana causò una gioia che le fece dimenticare i suoi crucci e si sentì sciocca e bambina per esservisi abbandonata. “Grande signore dei cieli…”

Il drago le sorrise. <Bambina, mi fai troppo onore. Ora sei disposta ad ascoltarmi?>

Lei annuì.

<Allora aprì il volume. Non sono abbastanza forte da mantenere il legame in queste condizioni. Mi affido a te.>

Lo spirito fu riassorbito dal volume. Adyana, lo Sguardo Indagatore ancora aperto, esaminò la ragnatela di rune che teneva ben salde le bande. “La forza bruta non può aprirle…” ripeté. Se anche ci avesse provato, la Gran Visir se ne sarebbe accorta.

Un drago antico! Una simile scoperta le avrebbe regalato gloria senza fine, persino Stargod ne sarebbe rimasto impressionato!

Adyana chiuse lo Sguardo e prese il libro sottobraccio.

<Dove andiamo, bambina?>

“Non sono una bambina, sono una Sposa. E ti sto portando in un posto più aperto: se riuscissi a liberarti qua dentro, ti scopriresti prigioniero, e i danni alla biblioteca sarebbero incalcolabili.”

<Vorresti essere la mia sposa?>

Mentre già saliva la scala, per un attimo lei si fermò. “Tu mi stuzzichi, cavalcavento, ma come potrebbe mai essere? Non sono una dea.”

<E ciò ti toglie la libertà di scelta? Persino dalla mia prigionia avverto il tuo desiderio. E’ passato tanto tempo da quando un mortale sentiva una cosa simile per me.>

Adyana accelerò il passo, il cuore lieve dalla gioia. Lei e questa creatura, da prima del dio..!

 

Terminata la scala, si ritrovò nella propria stanza, che dava un nuovo significato al termine ‘spartana’. Il mobilio era ridotto alla pura funzionalità, niente di vezzoso, niente che indicasse un tocco della personalità di chi la occupasse. Il tetto era una lastra cupolare di cristallo così perfetto da essere invisibile.

Posato il libro sul leggio, Adyana riaprì lo Sguardo.

L’incantesimo era un lavoro pregevole, scritto in una lingua runica scomparsa. Le ‘trappole’ apparivano a caso come punti luminosi lampeggianti.

“Temo di dovere chiedere aiuto alla Gran Visir, cavalcavento: e temo che persino lei avrebbe difficoltà a capire questo linguaggio.

<Un’altra soluzione c’è…ma temo per la tua integrità, bambina.>

“Non sono una bambina. Dimmela. Io non temo le asperità della vita.”

<Forgia un legame con il libro. La comunione con la tua essenza ti permetterà di aprire il libro come se fosse parte di te. Non sarai visto dalle sue magie come un’estranea.>

“Forgia un legame…” Adyana capiva cosa gli stesse chiedendo, e una parte di lei lo temeva. Era un dono pericoloso da offrire, e richiedeva il pieno consenso dell’offerente. La benché minima esitazione l’avrebbe consumata e resa prigioniera del volume, il corpo distrutto dal rituale…

Adyana sollevò il braccio, portando il polso sopra il volume.

In lei non c’era esitazione. La sua mente era calma. Era dalla parte giusta.

Sollevò l’altra mano a taglio.

Non era una bambina!

Un gesto secco! E le gocce di sangue caddero copiose sul volume.

Adyana non avrebbe neppure avuto bisogno dello Sguardo per vedere le rune di protezione disporsi intorno a lei, aprendo le loro barriere al suo tocco.

E al suo tocco, le bande si aprirono con uno scatto delicato

Il libro si aprì violentemente! Adyana osservò affascinata le pagine che sfogliavano come se un potente vento stesse soffiando nella stanza…fino a fermarsi di colpo.

Ad un’illustrazione che la lasciò ancor più di stucco. Un sorriso si dipinse sulle sue labbra, alla vista del maestoso drago nero che si ergeva dalla sua rocca contro un piccolo uomo. Una scritta capeggiava sul drago, il suo nome.

MALCHIOR.

“Malchior…”

L’illustrazione…si voltò a guardarla. E lei sobbalzò di nuovo. <Tale io sono, mortale. E ti sono grato.>

Lei si chinò sul libro, accarezzando la pagina con reverenza. “Signore dei cieli, perché sei prigioniero in questo libro?”

La figura tornò a guardare l’uomo congelato nell’atto di lanciare una magia. Sotto di lui, il nome ROREK. <Perché peccai di arroganza contro il mio nemico, lo sottovalutai ed egli arrivò a sacrificare sé stesso pur di chiudere entrambi in questo maledetto volume. Ormai la guerra era prossima alla fine, ma non arrivai a vederne la conclusione. Dimmi…com’è il mondo dei mortali, oggi? Chi è questo Stargod che ricorre così spesso nei tuoi pensieri?>

Come se fosse appena tornata sui banchi di scuola, Adyana spiegò tutto quello che le avevano insegnato, fino ad arrivare al corrente detentore della Godstone.

La maestosa creatura sorrise. <Ahh, il mondo è davvero cambiato tanto.>

Adyana stava accarezzando la pagina. “Malchior, con te al mio fianco mi dimostrerò degna del Suo cuore! La nostra magia combinata ci renderà fin troppo indispensabili! Potrebbe persino rinunciare agli alieni che lo accompagnano!”

<Oh. Dunque rischieresti di riportare sul tuo mondo la magia dei draghi? Non è una decisione da prendere a cuor leggero, cara Adyana.>

Lei scosse la testa. “Sarà la nostra magia, Malchior! Legherò la mia alla tua, se sarà necessario, ma sarai libero da questa insopportabile prigione! E quando Stargod vedrà di cosa siamo capaci, non potrà che darci la Sua benedizione!”

La voce di lui accarezzò la sua mente come velluto. <Sei molto confidente. E’ una qualità che apprezzo. La mia magia non ammette esitazioni.>

“Cosa devo fare, dunque?”

<Oh, è semplice: strappa la pagina.>

Il cuore di lei perse un colpo. “Ma…rovinare un simile lavoro…” E si sentì stupida nel momento in cui lo disse.

Ma Malchior non sembrò seccato da quella défaillance. <La pagina è la mia prigione, bambina. Ora tu sei unita al libro, e puoi strappare la pagina come farei sei fossi al tuo posto. Solo un avvertimento.>

“E sarebbe..?”

<Allontanati subito.>

Adyana tirò un profondo respiro, e afferrò un lembo della pagina. Arcane energie corsero lungo la sua mano. Decise che non avrebbe rotto tutta la pagina, non da un libro dove poteva imparare altre cose preziose sulle antiche magie.

Tirò via un angolo.

 

“Mia figlia sarà in grado di portare avanti la sua missione, Gran Visir?”

Le due donne procedevano lungo un corridoio. Il sole entrava liberamente dalle pareti di cristallo, donando alla loro pelle delle sfumature arcobaleno.

“Adyana possiede una grande volontà, Jara. Deve solo imparare a—Ngh!” Improvvisamente la visir si piegò in due, il volto contorto in un’espressione di dolore.

Subito Jara l’aiutò a sorreggersi. “Visir! Cosa succede?”

“Magia…estranea, potente. Improvvisa…” ma prima che potesse aggiungere altro, l’intero castello fu scosso come da un breve terremoto, mentre contemporaneamente si udì un’esplosione! Il muro cristallino andò in pezzi, riempiendo l’aria di schegge portate dal vento incessante! Tracce di fumo solcarono l’aria

“Siamo sotto attacco!” esclamò Jara, già attingendo alla propria magia. “Chi osa--?”

Le mani crepitanti mistiche energie, si sporse attraverso il muro. E vide da dove veniva il fumo. “No…”

 

Al posto della camera c’era ora uno squarcio esposto agli elementi impietosi. Il libro giaceva, dimenticato, in un angolo, le pagine fruscianti senza sosta.

A riempire quello squarcio, la maestosa creatura che Adyana aveva liberato. Si ergeva sulle zampe posteriori tra le volute di fumo come una statua.

E agli occhi di lei non vi era visione più bella.

“Sono dunque all’altezza delle tue aspettative?” chiese Malchior con una voce simile al suono di un incendio.

Lei si alzò in piedi, a malapena conscia della distruzione appena causata. “Sì. E anche molto di più, Lord Malchior. Sono felice che tu mia abbia accettato al tuo fianco.”

Il drago nero annuì e tese una zampa verso di lei. “Allora andiamo: è ora di conoscere meglio questo nuovo mondo, e quando tornerai, sarai superiore tra le superiori.”

Adyana salì su quella mano così grande da poterla stritolare senza sforzo.

Un colpo d’ali, e il drago si involò nel cielo! Presa confidenza con le correnti, stava già per allontanarsi, quando Adyana parlò alla sua mente. <Fermo, cavalcavento!>

Lui obbedì. “Cosa desideri? Esiti, forse?”

<No. Guarda tutte le persone che si sono radunate. Mostra loro di cosa è capace un antico drago: ricostruisci ciò che la tua venuta ha distrutto, e non avranno dubbi.>

Malchior ci pensò su, strofinandosi il mento. “Intrigante…E sia, bambina. Siamo legati, ti basterà solo pensare ai tuoi alloggi ne loro precedente stato. Il resto lo farò io.>

Adyana annuì, liberandosi delle emozioni, trasmettendo l’immagine mentale a lei così familiare.

Le zampe di Malchior si illuminarono, mentre tesseva l’incantesimo…E un momento dopo, come se il tempo stesso avesse invertito il suo senso, pietre, vetro e legno tornarono a congiungersi…fino a che di quella distruzione non rimase la minima traccia.

Adyana era sinceramente impressionata, l’antico l’aveva fatta sembrare così facile, quando persino un templare incontrava difficoltà con simili magie…

Ora toccava a lei. A un suo semplice atto di volontà, gli abiti civili furono sostituiti dall’armatura cerimoniale, con due staffe fissate alla schiena, un mantello bianco e un elmo a forma di testa di lupo. “Ora andiamo, Malchior. Abbiamo un incontro con un dio!”

E mentre Malchior si allontanava rapidamente sulle onde dei venti, si sentì Adyana dire, “E non sono una bambina.”



[1] A sbrigare i propri affari in Devil 62-66